In Giamaica la colazione più buona del mondo!

Alessandro Baronciani, oltre che essere un artista, musicista e fumettista bravissimo e famosissimo, è l’autore del disegno del nostro logo e di uno dei nostri incredibili grembiuli (l’avete già visto nello shop?) !
Ale si è talmente innamorato del progetto MICATUCA che ha voluto regalarci questo suo ricordo di un viaggio in Giamaica, accompagnato da alcune scansioni dal suo libretto di appunti di quel viaggio. Tutto materiale inedito solo per noi di MICATUCA!

Una tra le più buone colazioni che abbia mai fatto in viaggio è stata a Treasure Beach in Jamaica. Sulla guida c’era scritto che se avessimo voluto vedere la “Jamaica fuori dagli schemi del turismo di massa” dovevamo andare a Treasure Beach, dove trovammo un bellissimo albergo in stile coloniale di fronte al mare, proprio sulla spiaggia. Ed era vero, a Treasure Beach c’era solo la spiaggia, un albergo, le barche dei pescatori e un unico posto dove fare colazione. La gente del posto si contava sulla punta delle dita e ognuno aveva la propria attività: noleggio barche, noleggio scooter, caffetteria, escursioni nella palude, pesca, diving, e tutti i loro nomi erano scritti dentro la guida. Quando lo vennero a sapere, ogni tanto qualcuno ci chiedeva di mostrargli il libro dove dentro c’era il loro nome.

La notte prima non avevamo dormito perché c’erano le onde grosse e il vento forte entrava direttamente nella nostra stanza. Rimbombava nelle pareti creando un delay martellante come uno di quei pedali noise per la chitarra. Non riuscivamo a capire come le onde potessero fare un rumore di quel genere, era come tenere la tv accesa a tutto volume sintonizzata su un canale morto per tutta la notte.
Per arrivare a Treasure Beach avevamo viaggiato nel minivan di Elvis, un vecchio signore che tutti chiamavano così perché diceva di essere il fratello nero di Elvis Presley. Durante il viaggio ascoltammo una cassetta con delle canzoni di Bob Marley suonate da una specie di orchestra, da una specie di banda di paese, di quelle che si ascoltano alle sagre o quando sei in fila davanti al prete nelle processioni di maggio. Canzoni incredibili, mai più ascoltate. Ancora oggi, ogni volta che parlo con amici appassionati di musica reggae di queste versioni per “banda” di Bob Marley e del mio viaggio in Jamaica, mi guardano sempre in modo strano. Andai a cercarle anche nell’unico negozio di dischi della zona a Montego Bay. Ma niente, mai trovato nulla di queste canzoni neanche su internet.

Eppure avevo preso nota di tutto in modo molto scrupoloso. Avevo comprato un taccuino nuovo e me lo portavo sempre dietro insieme alla guida. Ci scrivevo e disegnavo tutte le cose che mi colpivano: l’albero del pane di Flò, la piccola Robinson – frutto che non riuscii ad assaggiare perché era febbraio ed era ancora acerbo -, il soursop, un drink fatto con uno strano frutto bianco con dei semi messi a caso nella polpa che si beveva con tanto ghiaccio, il rum Appleton di cui al bar te ne versavano quattro dita come in quei film americani girati negli anni 50, e il mio snack preferito di tutto il soggiorno, le banane fritte. Avevo segnato sul taccuino anche il titolo di una canzone dei Better Angels, una dannatissima canzone con cui tutti i giorni il deejay svegliava, mettendola a volumi altissimi, gli ospiti del Roots Bamboo, il beach resort di Negril da cui eravamo scappati. La metteva tre o quattro volte al giorno ed era diventata una sorta di tormentone, il pezzo delle nostre vacanze. Una canzone incredibile, bellissima, che si intitolava “In Jamaica". La voce era triste come in un disco wave della disques du crépuscole, tipo The Names o Sad lovers and Giants.  Era uno strano incrocio tra tristezza da brughiera e chitarre in levare da barriera corallina. Per il resto del tempo la playlist prevedeva soltanto reggaeton, soca e rap. Prima di ripartire avevo chiesto al deejay se poteva masterizzarmi il cd con quella canzone, ma mi sparò un prezzo tipo 200 dollari! Te sei matto! No worries! Faccio da solo! Figurati, appena tornato in Italia avrei cercato da solo i Better Angels su Myspace, tutti i gruppi nel 2002 avevano una pagina sul web! Avrei trovato subito quella canzone! Ma niente, mai trovato nulla di queste canzoni neanche su internet.
La mattina ci svegliammo ancora pieni di sonno. Il mare era calmo e azzurro, il sole picchiava e Treasure Beach non ci piaceva. Era una spiaggia troppo lontana dal turismo di massa, non che noi cercassimo lo Spring break, ma sulla spiaggia c’era soltanto una coppia di americani in pensione vestiti sempre di bianco. La guida consigliava di provare la tipica colazione jamaicana: riso, pesce salato e frittata. Ci sedemmo ad un tavolino davanti al mare e fu una colazione fantastica, oddio com’era buona quella frittata! Mentre lo scrivo ne ricordo ancora il sapore speciale, non so come siano riusciti a fare una frittata così raffinata, non ho mai più assaggiato delle scrambled eggs come quelle. E infatti quella frittata non era stata fatta con le uova ma con Ackee: un frutto che i jamaicani dicevano essere un fiore e che la guida indicava originario dell’Africa e portato in America durante il periodo la schiavitù. Ackee è diviso in quattro parti e al suo interno c’è un seme nero e duro, grande come un’oliva pugliese, enorme e inquietante che i locali dicevano fosse velenoso e quindi gettavano via; sotto questo seme c’era una sorta di pistillo giallo pesca, anche questo bello grosso e succoso che una volta cotto in padella diventava un uovo strapazzato. Divorai tutto insieme a un caffè americano e a un’enorme noce di cocco da cui prima avevo bevuto tutto il succo con una cannuccia. Ero felice, ristorato. Ora la notte passata in bianco era soltanto un ricordo. Una colazione perfetta a piedi scalzi nella sabbia. Un piccolo momento di pace davanti al mare, il più bello di tutta la vacanza.

Tornato in Italia provai più volte a cercare Ackee al supermercato internazionale di Milano e nei vari negozi indiani in giro per la città. Navigando su internet avevo visto che lo commercializzavano in lattina, ma non sono mai riuscito a comprarlo. Chissà, forse prima o poi lo troverò dentro una scatola Micatuca! Ho scritto questo racconto appunto perché vorrei che me la trovassero! Per il momento, un mese fa ho ritrovato il taccuino in un cassetto con gli appunti e i disegni che avevo fatto durante il viaggio. Ho provato di nuovo a cercare la versione da “banda” di Bob Marley senza risultato, ma su Spotify qualcuno ha caricato tutti i dischi dei Better Angels. Li trovi qui: https://open.spotify.com/track/2pmhkyQGXMse3lTnOuwQ64